L’arco di Settimio Severo emana una bellezza maestosa che tuttavia vibra di un’inquietudine nuova. Per vederlo non basta passare lungo Via dei Fori Imperiali. È necessario entrare nell’area archeologica, cuore di Roma antica, e incamminarsi verso la Curia, in direzione Campidoglio.
Settimio Severo: la luce abbagliante che precede il tramonto
È un magnifico arco a tre porte, eretto tra il 202 e il 203 d.C. e dedicato a Settimio Severo e ai suoi due figli, Caracalla e Geta. Rappresentava anche uno degli accessi monumentali al centro del Foro Romano e racchiude per noi tantissimi messaggi e storie degne di essere raccontate. Iniziamo a parlare del dedicatario. Di origine libica, Settimio Severo fu un imperatore forte e animato da spirito costruttivo: combatté i Parti fuori dai confini e la corruzione dentro i confini, riformò l’esercito e il diritto. Proprio alla sua epoca risale la Forma Urbis, una mappa della città incisa nel marmo e quindi preziosissima per noi. Insomma, un imperatore che si fece ricordare per la sua capacità e, a celebrazione del trionfo sui Parti, venne eretto l’arco a lui intitolato.
Il primo passo dell’arte tardo antica
La solennità e la malinconia dell’arco di Settimio Severo
Verrebbe da parlare di decadenza, ma non è corretto: piuttosto giungevano a Roma molti artisti delle province, che mischiavano il loro stile a quello classico. Era piuttosto la gestazione di un mondo nuovo, l’elaborazione di un linguaggio forse più semplice ma in grado di raggiungere ancora più persone. Ed è un linguaggio ricco di sperimentazioni, ad esempio in uno dei pannelli, quello che racconta l’assedio e la presa della capitale partica Ctesifonte, viene usato il trapano per dare un effetto chiaro-scuro e giocare con i volumi: un espediente che verrà ripreso spesso in seguito. Una curiosità poi riguarda l’iscrizione originaria presente sull’arco: il nome di Geta, figlio minore di Settimio Severo, è stato cancellato e sostituito da altre parole per via della damnatio memoriae che Caracalla, il maggiore, pose su Geta dopo averlo fatto uccidere. A Settimio Severo era dedicato anche un altro arco, a Leptis Magna, e anche qui il volto di Geta fu abraso. I due fratelli furono sempre in pessimi rapporti, paradossalmente ci sono testimoniati dalle tante rappresentazioni di Geta sfregiate. La loro rivalità finì nel sangue del secondogenito, ucciso da un gruppo di centurioni e spirato proprio tra le braccia della madre, Giulia Domna. L’imperatrice stessa, dopo pochi anni e tanti rovesci di fortuna, in seguito alla perdita del figlio superstite che aveva comunque cercato di guidare e aiutare, si lasciò morire di fame. La traccia indelebile di queste vicende umane resta incisa anche nell’arco di Settimio Severo, monumento tanto solenne quanto, in fondo, per questo e altri motivi, malinconico.
Foto di Sonia Morganti.