L’obbligo dei sacchetti biodegradabili è entrato in vigore il primo gennaio di questo nuovo anno. Se ne sta parlando molto, ma finora c’è stata poca chiarezza sull’argomento.
Cosa dice la legge sui sacchetti biodegradabili
Già nel 2015 era stata emanata una direttiva europea (dir. 2015/720), che imponeva la riduzione dell’uso di buste di plastica in materiale leggero. La direttiva aveva come fine ultimo quello di prevenire e ridurre l’impatto degli imballaggi di plastica sull’ambiente.
Più tardi, è stato aggiunto l’articolo 9 bis al decreto legge 20 giugno 2017 n. 21; articolo che è poi stato convertito in legge ad agosto ed è il recepimento della direttiva 720. L’emendamento che ha fatto tanto scalpore è quello relativo all’obbligo di utilizzare esclusivamente plastica biodegradabile per i sacchetti ultraleggeri; ovvero, quelli che vengono utilizzati per pesare e prezzare i prodotti ortofrutticoli (comma 2).
Per la precisione, la norma riguarda
borse di plastica con uno spessore della singola parete inferiore a 15 micron richieste ai fini di igiene o fornite come imballaggio primario per alimenti sfusi
L’obiettivo che si vuole raggiungere è quello di proteggerci dall’invasione di plastica che si sta verificando. Questo significa ridurre al minimo l’uso di buste di plastica e togliere dal commercio tutte quelle in materiale leggero che non rispettino i seguenti requisiti:
- biodegradabilità
- compostabilità
- contenuto minimo di materia prima rinnovabile (non inferiore al 40%)
Perché non sono gratuiti?
Il motivo principale del dibattito è legato al fatto che i sacchetti biodegradabili devono essere pagati, come specificato al comma 5 della legge.
In realtà, la legge non specifica quale debba essere il costo, ma afferma che:
le borse di plastica in materiale ultraleggero non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti imballati
Al momento il costo previsto è di 0,02/0,03 euro a busta, quindi la spesa totale annua si aggirerebbe intorno ai 15 euro. Qualunque negoziante richieda un prezzo superiore agli 0,03 euro per busta compierà un’azione illegale e potrà essere denunciato.
In particolare, i dati riscontrati dalle analisi Gfk hanno evidenziato come il consumo medio di ogni famiglia in Italia per le buste di plastica arriva a circa 417 sacchetti. Il costo del sacchetto consente di far comprendere la necessità di dare un valore a questo bene, far capire al consumatore che un gesto finora automatico e privo di valore ha invece una grande importanza.
Inoltre, si vorrebbe anche trasmettere il concetto del riuso: secondo la legge i sacchetti biodegradabili possono essere utilizzati per la raccolta differenziata dell’umido. In realtà, questo non è sempre vero: l’etichetta che viene apposta dopo aver pesato frutta e verdura non è biodegradabile e una volta attaccata non è facile da staccare. Quindi, il sacchetto è riutilizzabile solo se l’etichetta non finisce nell’umido (ovvero solo nel caso in cui mettiate l’etichetta in cima alla busta e riusciate a staccarla).
Posso riutilizzare i sacchetti di plastica per la prossima spesa?
Purtroppo, la norma vieta il riuso dei sacchetti biodegradabili. Questo divieto in ambito alimentare è dovuto alla possibilità di infezioni tossiche che potrebbero essere veicolate dalle buste già utilizzate. Si stanno però facendo dei passi avanti in questo senso: il Ministero dell’Ambiente sta valutando la possibilità di consentire l’uso di buste che i consumatori possono portare da casa, a patto che siano monouso e idonee per gli alimenti.
La direzione è quella giusta, ma nel modo sbagliato
La legge sui sacchetti biodegradabili ha finalmente portato in evidenza il tema legato alla problematica dell’uso della plastica: alti tassi di dispersione nell’ambiente e relative conseguenze. Infatti, le buste di plastica utilizzate per la spesa sono quelle che maggiormente vengono abbandonate nell’ambiente.
Far pagare al consumatore il sacchetto consente di metterlo al corrente del valore di quella busta e lo incentiva a utilizzarla con maggiore consapevolezza.
L’errore che è stato fatto consiste nel non aver dato al consumatore la possibilità di servirsi di una borsa riutilizzabile; in questo modo non sarebbe stato obbligato ad acquistare e consumare i sacchetti biodegradabili in commercio. Questo divieto ha fatto sì che la ragione nobile dell’eliminazione delle buste di plastica venisse oscurata dall’aspetto economico della norma. Di fronte all’imposizione del pagamento e al divieto di poter usufruire di buste riutilizzabili portate da casa, si sono scatenate le polemiche, facendo passare in secondo piano la ragione principale della norma: il rispetto dell’ambiente.
La problematica legata all’uso smodato della plastica è reale, ma in questo caso è stato affrontato in maniera sbagliata.
Per combattere le cattive abitudini e aiutare il consumatore a fare delle scelte consapevoli sarebbe stato meglio pensare prima alle possibili soluzioni per evitare che anche questo passo verso la sostenibilità ambientale si trasformasse in una lotta al più furbo.