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La cannabis light, la Cassazione e il governo

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cannabis light

Il caso che ha acceso la miccia è legato alla vicenda di un piccolo commerciante marchigiano, che si è visto dare sia torto sia ragione dalle due sezioni della Cassazione per la stessa vicenda, ossia la chiusura dei suoi tre negozi di cannabis leggera o industriale. A questo punto, viste le contraddizioni interpretative della legge, la Cassazione si è pronunciata a Sezioni Unite sulla commercializzazione di prodotti derivati dalle infiorescenze della cannabis a Thc controllato, detta anche cannabis light o industriale. Ha risolto il problema? No, ma programmaticamente. Vediamo perché.

La sentenza della Cassazione sulla canapa industriale

Andando sul sito della Suprema Corte di Cassazione, è possibile leggere il loro comunicato stampa. «Le Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione […] in data 30 maggio 2019 hanno stabilito che […] integrano il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990, le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia droganteLa soglia dell’efficacia drogante, come ricorda Federcanapa, «è stata fissata nello 0,5% (di Thc) come da consolidata letteratura scientifica e dalla tossicologia forense. Pertanto non può considerarsi reato vendere prodotti derivati delle coltivazioni di canapa industriale con livelli sotto quei limiti.»

La confusione interpretativa sulle leggi relative alla canapa industriale

La legge, purtroppo, è ricca di contraddizioni interpretative tanto quanto la canapa è ricca di usi economici, ecologici nonché perfettamente legali. A livello prettamente agricolo, la l.242/2016 aveva fissato il limite di Thc al 0.2%, superato il quale il coltivatore avrebbe perso gli aiuti comunitari. Visto che la percentuale del Thc aumenta al salire del calore ambientale, c’è un margine di tolleranza fino allo 0.6%, al di sopra del quale la coltivazione va distrutta ma il coltivatore è esentato da responsabilità (art. 4, comma 7, l. n. 242/2016). Fatto sta che queste leggi servivano per tutelare e rilanciare la filiera produttiva della canapa, non per stabilire cosa fosse stupefacente. Ne nasce anche il dubbio su quel che si può vendere: le infiorescenze, secondo un’interpretazione, rientrano a prescindere tra le sostanze droganti. Secondo altre no, perché sono la base di tutti i prodotti lavorati. Insomma, date le incertezze e le contraddizioni della legge, la Cassazione ha stabilito che deciderà caso per caso quale prodotto vada considerato “drogante” e quale no.

Il potere legislativo e la cannabis light

Se, quindi, chi non vende prodotti droganti non rischia nulla, resta l’incertezza su cosa venga considerato tale. Un dubbio che blocca gli investimenti, sia dei negozi che dei produttori: vi impegnereste in un raccolto, rischiando di doverlo distruggere o, peggio, di essere assimilati alla versione bucolica di Pablo Escobar?

Queste contraddizioni sono pienamente rappresentate nel governo. Se il primo ministro Conte ribadisce che chi non vende prodotti droganti non ha nulla da temere, le dichiarazioni del ministro degli interni Salvini assimilano tout court la canapa industriale alla droga. E non bisogna dimenticare la permanente diffidenza verso l’uso terapeutico della cannabis, che incide positivamente sulla qualità di vita e salute per molti malati. All’argomento, Greenious ha dato spazio nel 2018 con le parole di un esperto.

Il potere giudiziario non fa, quindi, che rispecchiare le difficoltà decisionali e le contraddizioni del potere legislativo davanti a un tema come quello della cannabis light, che tocca tabù e interessi economici non indifferenti. Ad oggi ci sono in Italia circa 3 mila negozi che vendono prodotti derivati dalla cannabis, 2,5 mila nati negli ultimi 24 mesi che vendono esclusivamente questi prodotti. L’Aical, che rappresenta produttori, trasformatori e negozi della filiera della cannabis, calcola un giro d’affari legato a questo business di oltre diecimila posti di lavoro per un fatturato di 80 milioni di euro, con crescite esponenziali negli ultimi anni fino al 100%.

La politica prende decisioni che rispecchiano o dovrebbero rispecchiare l’interesse della maggioranza dei cittadini: rispettato questo principio democratico, anche le più amare sono lecite. Diventano contestabili, però, quando incoerenti.

1 commento

  1. Ritengo l’articolo chiaro e esaustivo su una sentenza a due poco confusa. A mio avviso si dovrebbe divulgare maggiormente il significato di “potere drogante”. Complimenti!

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