È durante il primissimo periodo imperiale che nascono le prime tre biblioteche pubbliche di Roma antica. Non è un caso: Ottaviano Augusto è un uomo colto e scaltro, che si avvale della collaborazione di intellettuali capaci di aiutarlo a costruire e ricostruire uno stile di vita e pensiero che sia specchio di un’era nuova, quella del principato e della pax augustea. L’arte e la cultura sono l’anima e la voce di questo cambiamento, per cui le biblioteche pubbliche ne diventano la cassa di risonanza.
La biblioteca nell’Atrium Libertatis: un primo passo
In realtà la prima in ordine cronologico tra le biblioteche pubbliche di Roma antica fu fondata durante la tarda repubblica da Asinio Pollione. C’è una lunga storia alle spalle di questa struttura. Cesare voleva costruire a Roma qualcosa che potesse ricordare la biblioteca di Alessandria d’Egitto e inserì il progetto nella legge del 45 a.C. de ornanda instruendaque urbe. Affidò il progetto a Terenzio Varrone, un pompeiano di eccezionale cultura, e tanto bastava perché la sua fazione non fosse importante agli occhi di Cesare. Questo progetto, congelato alla morte violenta del dittatore, verrà ripreso da Asinio Pollione e Varrone in seguito. Pollione era un personaggio eclettico: politico e poeta, tragediografo e storico, fu anche il primo, pare, a tenere letture pubbliche delle proprie opere e fare in modo che la sua collezione di statue fosse vista “da più persone possibile”. L’Atrium Libertatis ospitò quindi la sua collezione di testi e di sculture, come se Pollione avesse intuito il valore civile che la letteratura e l’arte stavano assumendo nella capitale del mondo. La biblioteca di Pollione fu costruita con il bottino di una campagna di guerra nell’Illirico ed era divisa in due sezioni, una greca e una latina. Augusto apprezzò e valorizzò questa iniziativa e da allora tutte le biblioteche pubbliche di Roma antica ricalcarono, per forma e struttura, quella di Pollione.
Le biblioteche pubbliche costruite da Ottaviano Augusto
Augusto stesso edificò poi la biblioteca Palatina, inserita nel complesso del santuario di Apollo, nel 28 a.C. e poco dopo quella parte del Portico di Ottavia. La biblioteca Palatina, in particolare, diventerà subito un vivaio di personalità intellettuali vivaci e per due secoli un luogo di letture pubbliche ma soprattutto di studio metodico, per approfondire, rielaborare, creare. Quelli di Orazio e Galeno sono due nomi illustri dei frequentatori più assidui. La Palatina, tra le biblioteche pubbliche di Roma antica, è quella di cui abbiamo più notizie, perché molte descrizioni testuali hanno trovato un riscontro. Era un edificio sacro: vi era una statua di Apollo con le fattezze di Augusto – che era di bell’aspetto e poteva permetterselo – sotto la quale erano stati riposti i libri sibillini, c’era una sezione dedicata ai libri giuridici e spesso il princeps vi convocava il senato. A occuparsi dei testi e della gestione della biblioteca palatina, Augusto incaricherà letterati esperti di amministrazione e burocrazia: si inizia così a delineare l’immagine del funzionario imperiale con mansioni di bibliotecario. Gravemente danneggiata dall’incendio detto “neroniano”, la biblioteca Palatina verrà colpita anche da quello dell’epoca di Commodo e sarà definitivamente distrutta dall’incendio che nel 363 d.C. raderà al suolo il tempio di Apollo.
Le altre biblioteche pubbliche di Roma antica
Biblioteche pubbliche vennero anche inserite nel tempio della Pace o nelle terme di Caracalla. Edifici a sé stanti furono le due presenti nel foro di Traiano. Di una di queste abbiamo resti interessanti e possiamo descriverla: un ambiente squadrato, con vani rettangolari nelle pareti scavati proprio per ospitare quegli armadi lignei in cui erano conservati i preziosi volumina; ai loro lati, quasi a sottolineare l’importanza del contenuto, sorgevano colonne con capitello corinzio. Vi era poi una nicchia più grande, che probabilmente ospitava una statua di Minerva: la dea del sapere che, lì, doveva trovarsi davvero a suo agio. In un mondo dove le notizie, al più, viaggiavano al galoppo e i testi veniva copiati a mano, il sapere era così importante da essere quasi cosa divina.